Per voi prego la nostra Madre del cielo!
Auguri!
padre Angelo
«Ha assaporato pure lei la gioia degli incontri, l’attesa delle feste, gli slanci dell’amicizia…
Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: «Maria, ti amo».
Lei gli rispose, veloce come un brivido: «Anch’io»…
Per le compagne, l’amore umano che sperimentavano era come l’acqua di una cisterna: limpidissima, sì, ma con tanti detriti sul fondo…
Bastava un nonnulla perché i fondigli si rimescolassero e le acque divenissero torbide.
Per lei, no.
Non potevano mai capire, le ragazze di Nazaret, che l’amore di Maria non aveva fondigli, perché il suo era un pozzo senza fondo.
Santa Maria, donna innamorata, roveto inestinguibile di amore, noi dobbiamo chiederti perdono per aver fatto un torto alla tua umanità.
Ti abbiamo ritenuta capace solo di fiamme che si alzano verso il cielo, ma poi, forse per paura di contaminarti con le cose della terra, ti abbiamo esclusa dall’esperienza delle piccole scintille di quaggiù.
Tu, invece, rogo di carità per il Creatore, ci sei maestra anche di come si amano le creature.
Aiutaci, perciò, a ricomporre le assurde dissociazioni con cui, in tema di amore, portiamo avanti contabilità separate: una per il cielo (troppo povera in verità), e l’altra per la terra (ricca di voci, ma anemica di contenuti).
Facci capire che l’amore è sempre santo, perché le sue vampe partono dall’unico incendio di Dio.
Ma facci comprendere anche che, con lo stesso fuoco, oltre che accendere lampade di gioia, abbiamo la triste possibilità di fare terra bruciata delle cose più belle della vita.
Perciò, Santa Maria, donna innamorata, se è vero, come canta la liturgia, che tu sei la «Madre del bell’amore», accoglici alla tua scuola.
Insegnaci ad amare.
È un’arte difficile che si impara lentamente.
Perché si tratta di liberare la brace, senza spegnerla, da tante stratificazioni di cenere.
Amare, voce del verbo morire, significa decentrarsi.
Uscire da sé.
Dare senza chiedere.
Essere discreti al limite del silenzio.
Soffrire per far cadere le squame dell’egoismo.
Togliersi di mezzo quando si rischia di compromettere la pace di una casa.
Desiderare la felicità dell’altro.
Rispettare il suo destino.
E scomparire, quando ci si accorge di turbare la sua missione.
Santa Maria, donna innamorata, visto che il Signore ti ha detto: «Sono in te tutte le mie sorgenti», facci percepire che è sempre l’amore la rete sotterranea di quelle lame improvvise di felicità che, in alcuni momenti della vita ti trapassano lo spirito, ti riconciliano con le cose e ti danno la gioia di esistere.
Solo tu puoi farci cogliere la santità che soggiace a quegli arcani trasalimenti dello spirito, quando il cuore sembra fermarsi o battere più forte, dinanzi al miracolo delle cose: i pastelli del tramonto, il profumo dell’oceano, la pioggia nel pineto, l’ultima neve di primavera, gli accordi di mille violini suonati dal vento, tutti i colori dell’arcobaleno…
Vaporano, allora, dal sottosuolo delle memorie aneliti religiosi di pace, che si congiungono con attese di approdi futuri, e ti fanno sentire la presenza di Dio.
Aiutaci perché in quegli attimi veloci di innamoramento con l’universo possiamo intuire che le salmodie notturne delle claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolshoi hanno la medesima sorgente di carità.
E che la fonte ispiratrice della melodia che al mattino risuona in una cattedrale è la stessa del ritornello che si sente giungere la sera… da una rotonda sul mare: “Parlami d’amore, Mariù”».
AMEN!